Roma: 17enne uccisa a coltellate e messa in un sacchetto

Roma, una 17enne viene uccisa da un coetaneo a coltellate, il corpo trovato in un sacchetto della spazzatura

Tragico femminicidio accaduto a Roma, una 17enne viene uccisa da un coetaneo a coltellate e messa in un sacchetto della spazzatura. Il tragico delitto é avvenuto nel quartiere Primavalle, dove un passante ha visto un ragazzo spingere un carrello verso i rifiuti. L’uomo si é insospettito ed ha chiamato subito il 112. Nel carrello c’era un sacchetto della spazzatura da cui usciva sangue. Il ragazzo ha trasportato il carrello con dentro il corpo, per un centinaio di metri fino ad un muretto dove c’erano altri sacchetti di spazzatura. La sconvolgente scoperta della polizia quando ad aprire il sacchetto hanno trovato il corpo di Michelle Maria Caruso. I due non erano fidanzati.

Ho visto quel ragazzo scendere con un carrello e un bustone nero dei rifiuti da cui cola del liquido, si sente anche un odore forte” ha dichiarato il passante che ha assistito alla scena. Il coetaneo fermato, interrogato per tutta la notte, è stato sottoposto a fermo. È nato a Roma ma è originario dello Sri Lanka. Per lui è scattata l’accusa di di omicidio.

La vittima frequentava il liceo psicopedagico Vittorio Gassman. “Intelligente e tranquilla, la classica ragazza di periferia“: così la descrivono gli amici, increduli per quanto accaduto. Contrariamente alle prime voci girate poco dopo la scoperta e rimbalzate tra diversi media, la ragazza non era incinta e non era legata al presunto omicida da un rapporto sentimentale. (Rainews)

I casi di femminicidio in Italia registrati nel primo trimestre sono più di 30

Quando si parla di femminicidio si parla di violenza fisica, verbale e psicologica. Il fenomeno dilaga in Italia e in Europa ed i numeri in questa prima parte dell’anno 2023 non sono affatto confortanti. Tra i femminicidi che hanno colpito di più la sensibilità di tutti noi, quello di Giulia Tramontano, la 29enne di Milano, originaria di Sant’Antimo, provincia di Napoli, uccisa dal compagno insieme al bimbo che portava in grembo. Due vite stroncate in un solo istante con 37 coltellate inflitte alla donna senza pietà. Ma si resta basiti di fronte a qualunque tipo di femminicidio. La maggior parte dei delitti si consuma tra le mura domestiche. Ci si domanda spesso cosa succede nella mente umana di chi commette un femminicidio.

Il profilo psicologico-comportamentale del serial killer

Sul sito ADIR l’altro diritto, si apprende quanto sia pericoloso un uomo che ha avuto un’infanzia ed un’adolescenza con problematiche.

Esaminando la casistica, si nota che molti assassini seriali rientrano in una delle seguenti categorie:

  1. figlio illegittimo;
  2. figlio di un genitore abusivo, di solito il padre, mentre l’altro è sottomesso, spesso la madre (anche se è possibile il quadro opposto);
  3. orfano di uno o entrambi i genitori;
  4. infanzia caratterizzata da violenze fisiche, psicologiche e/o sessuali, perpetrate da uno o da entrambi i genitori.

L’infanzia è un momento fondamentale per la salute fisica e mentale del futuro adulto ed è molto importante la formazione di un buon “legame di attaccamento” fra il bambino e chi si prende cura di lui. Con il procedere della costruzione del legame, il bambino s’identifica e cerca attivamente il contatto con i genitori o con chi ne fa le veci. La frantumazione o la mancata formazione del “legame di attaccamento”, può produrre un bambino – ed un futuro adulto- incapace di provare empatia, affetto o rimorso per un altro essere umano, caratteristiche queste comuni anche agli assassini seriali.

Alla base del mancato processo di attaccamento, molte volte c’è un problema di abbandono genitoriale. Diversi assassini seriali hanno sofferto questa situazione, pur nascendo all’interno di un matrimonio regolare, che però presentava caratteristiche di instabilità. Spesso il futuro “mostro” è un bambino che maturato fantasie perverse, perché trascurato, maltrattato o persino violentato; frustrazioni, stress, incapacità cronica di affrontare e superare i conflitti generano nel bambino e, poi, nell’adolescente un progressivo isolamento dalla società, percepita come entità ostile; e dunque anche estraneità alle sue convenzioni etiche. Questa situazione determina così una rottura dei tabù e una serie di pulsioni violente dirottate su vittime che interpretano un bisogno vertiginoso di rivalsa.

 

 

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