Parthenope di Paolo Sorrentino: Una Nuova Bellezza!
E’ attraverso il suo nuovo film che Paolo Sorrentino ci trasporta nella sua Napoli, quel luogo incantato che, tra splendore e contraddizioni, vive nei suoi film come un protagonista silenzioso, intenso, potente.
Parthenope, ultimo lavoro del maestro napoletano, c’è Napoli tra musa, specchio, enigma.
Il regista non si limita a raffigurare la città come uno sfondo suggestivo, ma esplora ogni sfumatura, ogni angolo di bellezza e orrore, in un mix di estasi e miseria. Napoli è questa: affascinante e disturbante, mistica e concreta, specchio dei tormenti e delle speranze umane.
Dal simbolismo di Parthenope emerge il colore azzurro, che non è solo un riferimento al cielo e al mare, ma alla passione di Sorrentino per il Napoli, la squadra della sua città.
L’azzurro è l’ ideale di bellezza, il sogno che non ha mai smesso di ardere nell’anima del regista.
“Prima o poi siamo condannati a lasciarci andare”. Questa frase nel film è un inno alla malinconia, alla consapevolezza che tutto è destinato a passare, e tutto è destinato a essere vissuto pienamente.
L’azzurro è emblema di un amore eterno, di una fedeltà che si perpetua nonostante le delusioni, proprio come il rapporto dell’autore con Napoli: burrascoso, affettuoso, mai dimenticato.
La celebrazione della bellezza in ogni sua forma è evidente in Parthenope, ma il tutto è visto con occhio attento, senza ingannare le apparenze. “La bellezza è come la guerra… apre le porte” è una frase che racchiude il paradosso sorrentiniano: la bellezza, come un’arma, può essere uno strumento di condanna o di redenzione.
La bellezza di Sorrentino mescola fragilità e forza, innocenza e saggezza, è un’opera d’arte che suscita ammirazione quanto turbamento.
In Parthenope la donna è vista tra rappresentazione dell’amore, della vita, della passione, in una narrazione dove il divino e il profano si rincorrono in una danza magnetica e ambigua.
Napoli è una città dove la religione e l’arte, si rincorrono e Sorrentino le rappresenta divinamente in un conflitto costante.
In Parthenope, la chiesa e la parola di Dio convivono con la miscredenza e il sacrilegio, specchio di una città in bilico tra fede e realtà quotidiana.
La dualità del regista non è solo un tema narrativo ma un respiro costante, un’energia di cui Parthenope è completamente impregnato. Napoli, con le sue chiese barocche e le sue edicole votive, è un tempio e, al contempo, un luogo di perdizione, un luogo dove Dio e il dubbio si sfidano silenziosamente.
Il lavoro di Sorrentino sembra nascere dalla volontà di raccontare la verità della sua città, con le contraddizioni tipiche e con la socialità deturpata dall’orrore del vivere: “Cari orrendi napoletani…camminate a braccetto con l’orrore…scoprire di avere una bella bocca e non avere i denti…a Napoli sono rimasti solo i sensi di colpa…si vive e si muore per motivi futili”.
Parthenope non è un film che cerca di idealizzare Napoli, ma di capirla, di accoglierne ogni sfaccettatura.
Sorrentino offre allo spettatore il senso di appartenenza che Napoli ispira in chi la ama e, come il regista, sa di non poterla mai davvero lasciare.
Per quanto riguarda il cast, Celeste Della Porta è un’attrice con i fiocchi ed è destinata al grande successo per i tempi dell’interpretazione e per il suo modo di affrontare la camera da presa, e poi la sua bellezza…
E’ da sottolineare il personaggio di Silvio Orlando che, come professore universitario alla Federico II di Napoli, e come padre di una figura “orribile”, è un interprete inevitabile per Parthenope.
Allo stesso modo Peppe Lanzetta nella figura del Vescovo di Napoli, diviso tra religione e sacrilegio.
Insomma, ancora una volta Sorrentino ci ha stupiti trasferendo le nostre menti e la nostra voglia di capire, nell’infinita bellezza della sua realizzazione, per immagini, sensazioni, e capacità di interpretazione dei suoi personaggi.
Alcune considerazioni a voi lettori: “Immaginate lo stress di San Gennaro se non si scioglie il sangue” e “L’amore per provare a sopravvivere è un fallimento o forse non è così?
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