Miti, leggende e tradizioni della Napoli di ieri e di oggi: la Madonna dei mandarini
Tra le leggende della Napoli di ieri e di oggi vale la pena citare quella della Madonna dei mandarini. La madonna dei mandarini, secondo un’antica leggenda che abbraccia tutto il Meridione e che sembra risalire addirittura al Medioevo, è la patrona dei ladri. Dei mariuoli come si dice da queste parti.
Si tratta una leggenda popolare del Sud Italia poco conosciuta. Secondo la narrazione la Madonna dei mandarini, patrona dei ladri, come madre fa entrare in Paradiso i suoi protetti dalla finestra nel corso della notte e non dalla porta principale di cui ne possiede le chiavi solo San Pietro.
La leggenda – così raccontano – è che i ladri che pregano la Madonna dei mandarini, quando muoiono, c’è la fila davanti a Pietro che ha le chiavi, e apre e lascia passare uno, poi apre e lascia passare un altro; e la Madonna, quando vede uno di questi, gli fa segno di nascondersi; e poi, quando sono passati tutti, Pietro chiude e viene la notte e la Madonna dalla finestra lo chiama e lo fa entrare dalla finestra.
Quando la fila si dilegua e San Pietro chiude le porte, la Madonna dei mandarini fa entrare le anime che hanno peccato di notte, di nascosto.
La leggenda della Madonna dei mandarini raccontata da Ferdinando Russo
Questa leggenda e la stessa poesia di Ferdinando Russo vanno interpretate cum grano salis.
La madonna della leggenda non è una malfattrice, non desidera il male delle persone, né intende tradire la fiducia del Signore.
La Madonna dei Mandarini, infatti, è un simbolo di misericordia e vicinanza anche agli ultimi, anche ai malandrini. A raccontarne bene il carattere è una canzone scritta dal poeta napoletano Ferdinando Russo (Napoli, 25 novembre 1866 – Napoli, 30 gennaio 1927).
In questa canzone si racconta che a volte pure gli angeli del Paradiso commettono qualche marachella e se Dio se ne accorge li punisce, ordinando che siano chiusi in una cella scura per un giorno ed una notte. Gli angeli piangono, ma nessuno osa disobbedire agli ordini di Dio. Solo La Madonna dei Mandarini lo fa e si avvicina alla cella per donare parole di conforto e dei dolci mandarini, così da rendere meno amara la notte degli angeli imprigionati.
Tale novella, che non è riconosciuta dalla Chiesa, risulta avere origine nel Medioevo e la poesia che ne racconta la storia, scritta nel XX secolo per mano di Ferdinando Russo: ” Quando ncielo n’ angiulillo non fa chello c’ha da fà, ‘o Signore int’ a na cella scura, scura o fa nzerra’. Po’ se vota n’ ato e dige fa venì San Pietro ccà!…ma’ a Madonna, quando ognuno sta durmendo a svonne chine, annascuso ‘e tuttequante va e lle porta ‘e mandarine”.
Questa risulta essere l’ unica forma scritta e prova provata!
Un angioletto un pò dispettoso
Protagonista a tutti gli effetti quell’ angioletto un po’ ” dispettoso”; Dio ordina di punirlo, lasciandolo a pane e acqua e nonostante le rimostranze dell’ apostolo, il piccolo viene rinchiuso in cella.
In piena notte, il “mariuolo” riceve la visita della Madonna che, per rifocillarlo e quietarne i suoi lamenti, gli fa dono di alcuni frutti. Un comportamento che, la Madre di Gesù, adotterebbe con tutti i malfattori che giungono al cospetto di San Pietro, li soccorrerebbe al giudizio del predicatore; un padre severo , una madre indulgente.
La Vergine Maria è colei che empatizza la condizione dei disagiati, li protegge come una madre farebbe con i propri figli. Non è una figura “reale” del cattolicesimo ma lo diventa per tutte quelle persone che trovano conforto in questo racconto.
La Madonna assume il volto di quelle madri, di tutte quelle madri, che difendono i figli mutilati della loro bellezza. Ella impersonifica la carità che oggi risiede nelle mani di coloro che si spendono per gli altri, quella virtù che realizza la perfezione dello spirito umano.
E a quanto pare anche nelle piantagioni di mandarini che sprigionano il loro profumo nei campi assolati del Sud Italia.
In questa leggenda la Madonna appare come indulgente e “materna”. Una benevolenza che ritroviamo con altri personaggi delle leggende napoletane ma in questo caso non si applica il “do ut des”.