Miti, leggende e tradizioni della Napoli di ieri e di oggi: la leggenda di Colapesce

La leggenda di Colapesce

La città di Napoli ha dato vita, nel corso del tempo, alle più belle leggende diffuse nel Mezzogiorno. La famosa leggenda di Colapesce, che oggi trova collocazione in tutto il Sud Italia, ha come sfondo la magnifica cornice del golfo di Napoli. Con l’avanzare degli anni, la stessa storia si arricchì di nuovi dettagli, cambiando sfondo e ambientazione a seconda della voce narrante; la sua versione più brillante resta però quella partorita dalla fantasia partenopea.

La leggenda narra di un ragazzo di nome Nicola e del suo particolare rapporto con le acque di Napoli. Tutti i giorni il giovane napoletano si recava nei pressi del Borgo Marinaro e restava per ore in acqua, a sguazzare tra le onde. Crescendo, il piccolo scugnizzo divenne così bravo nel nuoto e nei tuffi da attirare l’attenzione di tutti gli abitanti del posto. Ogni giorno, di primo mattino, i lazzari di Napoli accorrevano sul lungomare partenopeo per ammirare le acrobazie acquatiche di Nicola. C’era chi lo incitava e chi provava ad emularlo senza successo: Nicola era ormai il leader indiscusso di tutti gli scugnizzi partenopei.

La trasformazione di Colapesce

Non era contenta però la madre, disperata per le smanie del figlio che ormai non faceva più ritorno a casa. Ogni giorno la donna levava la sua voce sui rioni, alla ricerca del giovane nuotatore. Il malcontento della donna si trasformò presto in una maledizione.

«Puozzà addiventà nu pesce!», gli urlò contro la madre. Il sentimento con cui la frase venne pronunciata era però così carico di malcontento che in poco tempo gambe del figlio si trasformarono nella coda di un pesce: Nicola era ormai diventato una curiosa creatura marina. Per questa ragione tutti cominciarono a chiamarlo ‘Colapesce’, ossia ‘Cola’ per indicare il suo nome di battesimo e ‘pesce’ per la sua nuova identità.

La triste fine di Colapesce

Non era affatto dispiaciuto il giovane, che così poteva essere libero di esplorare il mare e i suoi mille segreti. In men che non si dica, divenne infatti amico di tutte le altre creature marine ma tornava sempre a galla per raccontare agli amici cosa aveva scoperto. Secondo la leggenda, anche Federico II si incuriosì e un giorno decise di mettere alla prova il ragazzo. Il re ripose in mare i suoi gioielli più preziosi: se Colapesce fosse riuscito a riportarglieli avrebbe preso in sposa sua figlia, la bellissima principessa.

La leggenda di Colapesce. L’uomo trasformato in pesce. (foto by Facebook)

Nicola, che ormai conosceva alla perfezione i fondali di Napoli, riuscì ad agguantare i gioielli ma, nel tentativo di afferrare una catenina, rimase impigliato in una cavità che non permetteva all’acqua di passare. Per questo, Colapesce morì in mare e i giovani scugnizzi non lo videro mai più ritornare a galla.

Un’altra versione della leggenda
Il regno delle due Sicilie è nel Caos. L’imperatore Federico II di Svevia, disperato, chiama Colapesce per scoprire le origini del dissesto. Colapesce è un ragazzo straordinario, mezzo uomo e mezzo pesce. Alcuni dicono persino sia figlio di Nettuno. Dopo aver scandagliato minuziosamente gli abissi, porta una cattiva notizia al Re: il suo regno – la Sicilia – si regge su tre pilastri, uno dei quali sta per frantumarsi. Per salvaguardare il regno, Colapesce decide di rimanere per sempre nel fondo dell’abisso allo scopo di reggere la colonna ed evitare che la Sicilia cada in frantumi.
La leggenda di Colapesce. L’uomo trasformato in pesce. (foto by Facebook)
Coloro che caricano sulle spalle il peso di un Regno – questa è la lettura che si vuole qui proporre -, si prefiggono compiti ambiti. Riducono la loro esistenza all’alterità: per il bene degli altri – l’Imperatore -, annullano la loro esistenza e si condannano ad una vita di doveri, esattamente come Colapesce, che si autocondanna a trascorrere l’intera esistenza in fondo agli abissi per reggere una colonna destinata a crollare. C. G. Jung dice: “Lasciate cadere ciò che vuole cadere; se lo trattenete, vi trascinerà con sé”.
Accettare un destino infausto e scoprire la leggerezza del lasciare andare più che del trattenere, alle volte, rivela una grande saggezza d’animo: un Regno destinato a crollare non può essere salvato da un uomo ma solo procrastinare la sua agonia. Uomo che conosce sé stesso, invece, gode degli attimi che gli è concesso vivere, nella consapevolezza di aver salvato sé stesso.

 

Marianna Caprio

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