Il video di Kevin prima di essere travolto dal treno insieme ai compagni: “Se vi dico il treno, spostatevi”. Queste le parole di uno dei due tecnici dell’azienda per cui lavoravano Kevin ed i suoi colleghi. Nelle immagini si vede uno dei cinque operai che riprende con il cellulare gli uomini al lavoro. È Kevin Laganà, il più giovane delle vittime. Nel video si sente anche una voce, forse quella di Antonio Massa, il tecnico di Rfi indagato: “Ragazzi se vi dico treno andate da quella parte, ok?”. E subito dopo: “Se vi dico treno da che parte passate?“. “Di qua“, la risposta. Il video è stato condiviso da Kevin, la vittima più giovane dell’incidente ferroviario, sui suoi profili social poco prima che si verificasse l’incidente è che ora si aggiunge agli atti di indagine che sta raccogliendo la procura di Ivrea.
Nelle immagini del video si vedono gli operai al lavoro sui binari della stazione di Brandizzo, Kevin che riprende se stesso e che a un certo punto, mentre si guarda intorno, commenta: “Non abbiamo neanche l’interruzione, ancora”, poi, qualche indicazione tra compagni su dove spostare con un rastrello le pietre della massicciata e scherzosi scambi di battute. Una manciata di secondi prima che il video si interrompa, Kevin sorride e mentre in sottofondo si sente lo squillo di un telefonino, saluta: “Ciao ragazzi, ci vediamo alla prossima“.
“I lavori di preparazione si fanno e si son sempre fatti, questo lo sapevano tutti, anche senza nulla osta”. Ignazio Drago per quarant’anni ha fatto lo stesso lavoro di Antonio Massa, il dipendente di Rfi sopravvissuto alla strage di Brandizzo e, ora, indagato insieme ad Andrea Girardin Gibin con l’accusa di omicidio plurimo e disastro ferroviario con dolo eventuale.
La procura di Ivrea è partita da loro perché erano presenti al momento dell’impatto tra il treno e i cinque operai, ma l’obiettivo ora è capire se fosse una prassi diffusa. Circostanza confermata dall’ex rappresentante della sicurezza e iscritto alla Cgil: “Lì bisogna scegliere o i costi o la vita delle persone” denuncia il ferroviere ora in pensione. “I tempi di lavorazione sono molto stretti, sono minimi c’è la preoccupazione di non finire un lavoro, se poi come in questo caso il treno porta ritardo i tempi si riducono – dice Drago – Due sono le cose o si sospende l’attività o la si riduce e la rinvia al giorno dopo”.
Massa la notte di mercoledì aveva quella pressione. Al telefono con la capostazione di Chivasso, per due volte si è sentito negare il permesso di far partire i lavori. Un treno era già passato, all’orario concordato, un altro sarebbe passato dopo l’una e trenta, costringendo a fermare i lavori. All’appello mancava quello previsto attorno alle 23.30, ma in ritardo. Per questo non poteva esserci il nulla osta, ma il capo scorta avrebbe permesso agli operai di scendere sui binari.
E qui si aggiunge un altro dettaglio non era stata calata la pattina, il mezzo che si solito è piazzato sulle rotaie durante i lavori e viene percepito dal sistema di sicurezza. Per questo dal treno non si sarebbero accorti della presenza degli operai. Aspetti questi che dovranno essere approfonditi dai periti per chiarire eventuali responsabilità di altre persone. Questo é quanto si legge su RaiNews nell’edizione del 4 settembre 2023.
Su QuiFinanza, vengono esaminati i vari aspetti che hanno causato la morte dei 5 operai, attraverso alcune testimonianze e non solo, analizzando anche il modus operandi che si é sempre utilizzato nell’azienda. Ecco cosa si legge “La strage di Brandizzo è stata causata da una pratica comune: l’avvio dei lavori in anticipo, perché tutti seguono questa consuetudine. Questo accade perché le operazioni di manutenzione possono essere eseguite solo quando non causano disagi ai passeggeri, ovvero dopo le 22:00 e durante i fine settimana. Tuttavia, il contratto dei lavoratori prevede solo due turni notturni a settimana. Questa regola viene costantemente elusa attraverso la chiamata volontaria dei lavoratori.”
Le pubbliche ministere Valentina Bossi e Giulia Nicodemo hanno chiamato come testimone l’ex operaio della Si.gi.fer. di Borgo Vercelli, Antonio Veneziano. L’uomo aveva già prestato la sua importante testimonianza ai media, dalla quale si evince il modo di operare dei tecnici dell’azienda.
“Era frequente avviare i lavori in anticipo, specialmente quando sapevamo che un treno era in ritardo. In molte occasioni in cui ho lavorato lì (alla Si.gi.fer), quando sapevamo che un treno era in ritardo, anticipavamo l’inizio del lavoro. In altre parole, quando dovevamo effettuare una regolazione, come il restringimento del binario, che richiedeva l’intervento di un convoglio previsto in orari non corretti, iniziavamo i lavori. Svitavamo i chiavardini, che sono i dispositivi di fissaggio delle rotaie alle traversine in legno. Successivamente, poco prima del passaggio dei convogli, venivamo rimossi dalla traccia. Solitamente, eravamo sei o sette persone in ogni gruppo, ma in queste situazioni, c’era sempre qualcuno che sorvegliava la situazione. Tuttavia, nella tragica notte recente, la situazione è stata diversa, poiché tutti erano sulla massicciata”.
Anche altri colleghi hanno confermato la pratica in uso al quotidiano La Stampa, dichiarando: “Sappiamo che si inizia a lavorare quando il capo ci dice verbalmente che possiamo farlo, e questo avviene non quando arriva un documento formale, ma quando i treni hanno cessato di passare. Questo è un comportamento diffuso tra tutti noi.” Ora l’inchiesta dovrà determinare se i dirigenti di Rete Ferroviaria Italiana erano al corrente di questa pratica.
Secondo l’accusa, la responsabilità di Girardin Gibin risiede nel fatto che ha fatto scendere i suoi operai sui binari senza prima ottenere il foglio di nulla osta necessario. Nel caso di Antonio Massa, invece, la prova principale sono le telefonate effettuate quella sera. Le chiamate iniziano intorno alle 23:30, quando Massa chiede l’autorizzazione alla centrale del movimento di Chivasso: prima una chiamata, poi una seconda. Nel momento della richiesta, Massa dispone solo di supposizioni riguardo alle finestre di lavoro, basate sugli orari previsti dei treni.
Dalla centrale di Chivasso, riceve un rifiuto iniziale e una raccomandazione a rimandare l’intervento, dicendo che “deve ancora passare un treno“. La questione centrale è quale treno stesse effettivamente passando. Erano previsti tre treni: l’ultimo di linea, uno destinato a trasportare vagoni da Alessandria a Torino e un terzo programmato per circa l’1:30. Alle 23:30, il primo treno aveva già concluso il suo percorso. Il secondo era in ritardo, ma non è chiaro se Massa abbia confuso questo treno con quello precedente. Questa confusione porta all’incidente, poiché Massa e il capocantiere insieme a cinque operai scendono sui binari in un momento in cui il passaggio dei treni non era adeguatamente coordinato con la loro presenza.
Dalla centrale, Massa riceve ulteriori istruzioni che gli indicano due finestre temporali durante le quali può svolgere il lavoro: tra il secondo e il terzo treno, oppure dopo il terzo treno. Inoltre, gli viene ribadito di rimanere fermi. Una terza telefonata registra l’esplosione e il rumore della frenata, segnando il tragico momento in cui la strage ha avuto luogo. Ci sono state altre due chiamate successive, ma queste contengono solo le urla di disperazione di Massa mentre cerca di descrivere la situazione.
La ricostruzione degli eventi si basa sulle registrazioni delle telefonate, che vengono poi confrontate con gli orari in cui le telecamere della stazione registrano la presenza degli operai sui binari. In questo caso, non c’era un sistema di semafori rossi per fermare i treni, poiché non era previsto che dovessero fermarsi. Inoltre, i dispositivi di sicurezza sulla linea erano presenti, ma sembra che non abbiano attivato i segnali luminosi che avrebbero dovuto segnalare il lavoro in corso. Non è chiaro quando fosse obbligatorio utilizzarli. Tuttavia, il mancato funzionamento di questi dispositivi è un elemento critico nella catena di eventi che ha portato alla tragedia.
A dieci minuti dalla mezzanotte il convoglio passeggeri vuoto, fuori servizio, in fase di spostamento da Alessandria a Torino, lanciato ai 160 chilometri all’ora, travolge sette operai che stanno eseguendo lavori di manutenzione sui binari di fronte alla stazione e ne uccide cinque sul colpo. Un boato senza fischi, senza preavviso. Poi la fatica tremenda della frenata oltre l’impatto, con gli occhi sbarrati e il respiro fermo. Perché qualcosa è successo, i macchinisti non vedono, ma sentono e sono già risucchiati nella nebbia di una vita che non sarà più la stessa, mentre con i due operai sopravvissuti vengono portati illesi all’ospedale di Chivasso e affidati prima al pm e poi agli psicologi.
Le vittime: Il più giovane, Kevin Laganà, è originario di Messina e ha 22 anni. Dalla Sicilia era arrivato in Piemonte anche il più anziano, Giuseppe Saverio Lombardo, 53. Inginocchiati sull’acciaio fra le scintille delle saldatrici, presi in pieno come Michael Zanera 34enne di Vercelli, come Giuseppe Aversa che di anni ne aveva 49 e viveva a Borgo D’Ale, come Giuseppe Sorvillo, 43, cittadino di Brandizzo. (On)
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