Facebook procede con la sua mannaia della censura. A colpi di “disinformazione” e “fake news”, Meta fa e disfa a suo piacimento. Questo lascia più di un dubbio nel dibattito sulla libertà di informazione sul social. Il patron Mark Zuckerberg ha lanciato un allarme che riguarda la Cina. Definendo l’operazione compiuta da Pechino “la più grande operazione di influenza segreta online al mondo”.
Di conseguenza, l’azienda sostiene di aver identificato e rimosso oltre 7.700 account e 930 pagine solo su Facebook. Secondo l’accusa di Zuckerberg la campagna messa in campo da attori direttamente legati al governo cinese operava al fine di promuovere la reputazione di Pechino, gettando fango sugli Usa e sull’Occidente. Non solo, i movimenti sui social servivano anche a confondere le acque sulle origini del Covid. Tema ancora dibattutissimo.
Fa sorridere, leggendo questa cosa, pensare a come Facebook abbia allo stesso modo bollato come disinformazione e fake news tutta la controinformazione sul Covid e sui vaccini. Della serie: vale solo la narrazione a senso unico che vogliono i governi, Bog Pharma e tutti i potenti di turno che riescono in qualche modo a imbonirsi Zuckerberg.
Una censura a targhe alterne, dunque. La presunta rete cinese bloccata da Facebook avrebbe operato a lungo anche su decine di altre piattaforme: da YouTube a TikTok, da Twitter/X fino a Reddit e Pinterest. Gestito da operatori sparsi in tutto il Paese, il progetto alimentava commenti positivi sulle politiche di Pechino. Allo stesso modo, potremmo dire, è quello che è stato fatto in epoca Covid sulle politiche restrizioniste e antidemocratiche dei governi Conte e Draghi.
Secondo la ricostruzione fornita dal team di Facebook venivano fatti circolare anche commenti negativi sugli Usa e altri governi occidentali. Così come messaggi di “disinformazione” sulle origini della pandemia. Come riferisce Open riportando la notizia, è già la settima volta in sei anni che la compagnia di Mark Zuckerberg interviene per neutralizzare un network di influenza di Pechino. (Il Paragone.it)
Il Digital Services Act (DSA) europeo, la nuova legge che regolamenta i contenuti online su importanti piattaforme web e siti internet, suscita preoccupazioni in merito a una potenziale tendenza autoritaria nella sua applicazione.
Questa preoccupazione è dovuta al fatto che il DSA conferisce ampi poteri discrezionali a entità come organizzazioni indipendenti e fact-checkers, che avrebbero il compito di determinare quali contenuti siano accettabili.
Ciò comporterà la soppressione di opinioni non in linea con il consenso prevalente, e inoltre, l’impiego del DSA durante le campagne elettorali, rischia di intaccare la libertà di espressione.
Internet, originariamente ideato come un potente strumento per la diffusione delle idee, è ora sfruttato come strumento di controllo e censura da parte delle autorità politiche e istituzionali.
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