Continuano ai Campi Flegrei le scosse telluriche, 7 registrate in poche ore, lo sciame sismico é iniziato ieri sera giovedì 21 settembre. Le scosse di magnitudo compreso tra 1.0 e 1.4 sono iniziate ieri sera per poi continuare ininterrottamente per tutta questa notte. Secondo i dati dell’Osservatorio Vesuviano, tutti gli eventi si sono verificati ad una profondità tra 1 e 3 km. (NapoliToday)
Molti rassicurano la popolazione in quanto non ci sarebbero situazioni di emergenza da segnalare, altri parlano di una potentissima eruzione che coinvolgerebbe poi anche il Vesuvio. Ma come stanno veramente le cose? Sul sito In Italia si legge che secondo un nuovo studio eseguito da parte dell’University College London e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia: al momento non ci sono prove di imminenti eruzioni ma non possono essere escluse in futuro.
Secondo lo studio l’attività della caldera è causata dai movimenti di fluidi che si troverebbero a una profondità di circa 3 km e potrebbero essere costituiti da gas di natura vulcanica ma anche di magma. Con l’indebolimento della crosta della caldera della zona vulcanica dei Campi Flegrei, ci sarebbe bisogno di una maggiore attenzione, al fine di valutare l’effettiva pericolosità della situazione.
Lo studio è stato pubblicato su “Communications Earth & Environment” e porta le firme di: Christopher Kilburn, professore di Vulcanologia dell’University College London, Stefano Carlino, ricercatore dell’INGV, Nicola Alessandro Pino, primo ricercatore di INGV-OV e Stefania Danesi, ricercatore della Sezione Bologna dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia.
In base a quanto emerso dallo studio “la causa dell’attuale sollevamento potrebbe essere di origine idrotermale, ma non è possibile escludere completamente un eventuale contributo magmatico”. L’INGV ci ha tenuto a precisare, come si legge su Agi.it, che tuttavia “al momento i risultati della ricerca non hanno alcuna implicazione diretta su misure che riguardano la sicurezza della popolazione”. La crosta si sta indebolendo ma almeno fino a oggi non ci sono segnali di un imminente pericolo, anche se l’attività va tenuta sotto costante osservazione alla luce dello scenario attuale dei Campi Flegrei.
Il professor Christopher Kilburn, in merito ai risultati dello studio, ha dichiarato: “Lo studio conferma che i Campi Flegrei si stanno avvicinando alla rottura, ma questo non significa che un’eruzione è garantita. La rottura può aprire una crepa attraverso la crosta, ma il magma deve ancora essere spinto verso l’alto nel punto giusto perché si verifichi un’eruzione”.
Stefano Carlino, ricercatore dell’INGV, ha invece spiegato: “Lo studio evidenzia che nonostante il livello del suolo raggiunto sia superiore di oltre 10 centimetri a quello raggiunto nel corso della crisi bradisismica del 1984, la deformazione inelastica sta avvenendo con un livello di sforzo inferiore”.
In merito alla possibilità di eventuali terremoti come quelli che secoli fa hanno causato lo sprofondare sott’acqua della residenza dell’imperatore Augusto, oggi visitabile nel Parco Sommerso di Gaiola, Carlino ha fatto sapere che i risultati dello studio suggeriscono “che nel corso degli episodi di sollevamento della caldera dei decenni passati si sono progressivamente prodotte modifiche dello stato fisico della crosta e che questi cambiamenti non possono essere trascurati nello studio della dinamica vulcanica in atto e nelle sue evoluzioni future”.
Stefania Danesi, ricercatore della Sezione di Bologna dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, ha spiegato che attraverso lo studio si dimostra “che gli episodi di sollevamento ai Campi Flegrei dal 1950 a oggi devono essere considerati come fasi di un unico processo di lungo termine in cui la recente transizione da regime elastico a inelastico segna un passaggio rilevante”.
Alessandro Pino dell’Osservatorio Vesuviano dell’INGV ha dichiarato che “nello scenario più critico, la persistenza del regime inelastico potrebbe portare alla rapida fratturazione degli strati crostali più superficiali, con precursori che potrebbero essere meno intensi di quanto generalmente attesi in caso di risalita di magma. Tuttavia, la riattivazione progressiva e diffusa di fratture potrebbe causare la depressurizzazione del sistema idrotermale, con arresto del sollevamento del suolo e, quindi, la ripresa della lenta subsidenza”.
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