Un altro luogo “nascosto” e meraviglioso da scoprire a Napoli è la chiesa dei Santi Severino e Sossio.
Situata ai margini di quella zona di città storica sfigurata dal Risanamento, nel cuore di Napoli, la chiesa dei Santi Severino e Sossio spicca con la sua poderosa mole nel caos urbanistico e architettonico delle strade a ridosso del corso Umberto I.
In questo complesso nel 902 d. C., vennero trasportate sul posto le reliquie di San Severino, due anni dopo le reliquie di San Sossio compagno di martirio di San Gennaro patrono di Napoli. Queste ultime furono rinvenute tra i ruderi del Castello di Miseno distrutto nel 885 d.C.
Un tempo parte di uno dei maggiori complessi benedettini del Mezzogiorno tra Medioevo ed Età moderna , l’edificio divenne proprietà del nascente Stato italiano dopo le soppressioni seguite al 17 febbraio 1861. Un monastero che disponeva di una ricca biblioteca, due chiese e ben quattro chiostri.
Oggi, quindi, appartiene al Fec, che l’ha affidato, con una singolare convivenza, alla Comunità di Sant’Egidio e al Touring Club Italiano. All’una per officiarvi le messe domenicali, all’altro, dal novembre 2014, nell’ambito dell’iniziativa “Aperti per voi”. Così sono dei volontari a occuparsi di un monumento che custodisce alcune delle opere più importanti per la storia delle arti a Napoli tra l’inizio del Cinquecento e la metà del Settecento.
Tra le tante peculiarità di questa chiesa, vi è il fatto di conservare, nella navata e in alcune cappelle, un rarissimo pavimento a commesso marmoreo della seconda metà del Cinquecento.Questo è arricchito da lastre terragne in gran parte risalenti a un periodo che arriva fino al primo Seicento.
Basti pensare che, tra i molti nomi incisi su queste lapidi, vi si legge anche quello di Belisario Corenzio, pittore greco che fu il maggiore frescante attivo nella Napoli a cavallo tra XVI e XVII secolo. Un elemento unico, e non solo nel contesto locale, che però ha goduto di scarsissima fortuna critica. Infatti gli scultori e i lapicidi che vi lavorarono restano ancora quasi tutti anonimi.
Oltrepassato il portale settecentesco, sul cui timpano campeggia lo stemma marmoreo con le due S, si schiude dinanzi ai nostri occhi la chiesa in tutto il suo magnificente splendore. Il pastorale e la palma del martirio a simboleggiano i due santi cui la chiesa è dedicata.
Un’unica navata, due file di sette cappelle ai lati, i marmi policromi delle pareti e del pavimento, abbagliano la vista e catturano immediatamente il visitatore. Questi ,provenienti dalle cave liguri,riflettono la luce che filtra dalle grandi finestre della controfacciata.
In corrispondenza del secondo pilastro sulla destra la tomba di Belisario Corenzio, che la tradizione vuole sia morto proprio in questa chiesa nel 1646 cadendo da un’impalcatura mentre ritoccava gli affreschi della volta. Volgiamo dunque lo sguardo alla volta a botte e ai suoi magnifici affreschi raffiguranti scene della vita di San Benedetto, opera di Francesco De Mura dopo che il tempo e i terremoti ebbero distrutto l’opera di Belisario Corenzio.
Le cappelle sfilano alla nostra destra disvelando ciascuna la sua storia, il suo mistero, la Fede, L’Arte. Nella II Cappella risalta per la potenza del messaggio, l’opera di Marco Pino da Siena, un’Assunzione della Vergine, datata 1571, in cui l’artista divide nettamente il mondo terreno , il sepolcro aperto, il dolore della morte e il mondo celeste, la Vergine assunta in Cielo con le figure umane che sembrano intrecciarsi e tendere verso l’Alto, ad accompagnare la Vergine nell’ascesa. Ancora, qualche metro più avanti, la VI Cappella, con l’altro capolavoro di Marco Pino da Siena, l’Adorazione dei Magi.
Il monastero, tra i più grandi della città, si sviluppa sul lato orientale della chiesa, a ridosso della cinta muraria del nucleo antico della città, quindi sotto il decumano inferiore.
Dal monastero è possibile giungere all’originaria chiesa inferiore (o chiesa vecchia, o anche succorpo) realizzata agli inizi del Cinquecento con gusto rinascimentale. Essa consta di un’unica navata con cinque cappelle laterali nelle quali si trovano numerose tombe databili allo stesso secolo.
Dopo di essa si sviluppano in successione tre chiostri monumentali, artisticamente tra i più rilevanti della città e che ospitano in circa 300 sale l’Archivio di Stato di Napoli, la più ampia e ricca raccolta documentaria dell’ Italia meridionale, con volumi, opuscoli, manoscritti, atti ufficiali, pergamene e documenti riguardanti la città di Napoli dal X secolo all’epoca moderna.
Visitare questi luoghi significa arricchire la nostra cultura e custodire, nella nostra anima, un patrimonio artistico culturale unico al mondo.
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