Sociale

Al Festival di Sanremo 2023, la Fagnani presenta il carcere di Nisida

Seconda serata del Festival di Sanremo 2023, la giornalista Francesca Fagnani e il carcere minorile di Nisida

Alla seconda serata del 73° Festival di Sanremo, Amadeus decide di farsi affiancare dalla simpatica giornalista Francesca Fagnani.  La presenta così: “Una belva a Sanremo”, in quanto la Fagnani conduce il programma Belve” su Rai2,  titolo che si riferisce sicuramente al il suo inconfondibile modo di intervistare, contraddistinto da una satira pungente. La giornalista infatti è nota proprio per questa sua caratteristica, quella di mettere in difficoltà l’intervistato, con domande che toccano anche aspetti delicati e personali. Non a caso Amadeus l’ha presentata così: “La primadonna di questa serata: graffiante, una giornalista temuta, una donna sorridente, solare, ironica: ma vietato abbassare la guardia con lei”. La Fagnani nel corso della seconda serata ha deciso per il suo outfit di utilizzare i capi raffinati del grande stilista Giorgio Armani. Con classe e raffinatezza ha saputo reggere il palco dell’Ariston senza alcuna difficoltà o emozione.

La Fagnani e la sua toccante esperienza al carcere minorile di Nisida

Ciò che ha sorpreso il pubblico in sala ed i telespettatori del Festival di Sanremo, è stato il suo monologo su una delle esperienze più toccanti della sua carriera giornalistica: una visita al carcere minorile di Nisida. L’istituto penale è isolato dal contesto urbano e si trova in cima ad una piccola isola appartenente all’arcipelago delle isole Flegree, fa parte di Bagnoli, un quartiere del comune di Napoli. La giornalista ha deciso di intervistare i giovani detenuti del carcere per carpire le loro sensazioni, i loro pensieri e le loro esperienze di vita in un luogo di pena. Da questa sua emozionante e triste osservazione ne ha tratto un monologo che ha deciso di portare sul palco del Festival di Sanremo. Ne riportiamo alcuni passi.

Le frasi di apertura del monologo

La Fagnani apre così il suo monologo: “Non tutte le parole sono uguali e non tutte arrivano con facilità. Alcune devono superare porte chiuse a tripla mandata”, La Fagnani chiede ai giovani detenuti cosa volessero dire alla platea di Sanremo e la loro risposta è stata: Digli che rubare non è il mestiere mio. L’ho fatto una volta e guarda dove so’ finito”

Hanno picchiato, hanno rapinato, hanno ucciso. Alla domanda perché lo hai fatto, però, non trovano la risposta. Risposta che vorrebbero avere, che cercano, che abbozzano, ma che non esce, perché è inutile cercarla così, bisogna andare al giorno prima, alla settimana prima, al mese prima, alla vita prima”. “Non siamo animali, non siamo bestie, non siamo killer per sempre, vogliamo che ci conoscano“. Così a quindici, diciotto anni, con “gli occhi pieni di rabbia e di vuoto, i ragazzi chiedono aiuto. “La scuola l’hanno abbandonata, ma nessuno li ha mai cercati: neppure gli assistenti sociali, che o non ci sono o sono troppo pochi per certe periferie, e le madri e i padri, quelli che c’erano, non ce l’hanno fatta”.

Alla domanda “cosa cambieresti della tua vita” tutti i detenuti intervistati hanno dato la stessa risposta: “Sarei andato a scuola. Se nasci in quel quartiere, in quel palazzo, o da quella famiglia, è solo tra i banchi di scuola che puoi intravedere la possibilità di una vita alternativa a quella già scritta per te da altri”

La responsabilità dello Stato

La giornalista ha sottolineato le responsabilità dello Stato, che “non può insistere nelle aree più fragili del paese solo con la fondamentale attività di repressione delle forze di polizia”. Dovrebbe combattere la dispersione scolastica e la povertà educativa. Dovrebbe garantire pari opportunità, almeno ai più giovani” per attuare democrazia e uguaglianza, principi fondamentali della nostra Repubblica. In sostanza, “lo Stato dovrebbe essere più attraente, più sexy dell’illegalità”. Il destino dei ragazzi che entrano nel carcere minorile, in ogni caso, “non è irreversibile”. Trovare un lavoro, rispettare la legge e superare i pregiudizi è possibile, ma non sempre accade. Tornare in carcere può servire “solo a punire il colpevole, non serve a rieducare, né tantomeno a reinserire nella società chi entra. Il giorno passa su un materasso sporco, senza far nulla, in una cella in cui dovreste essere in tre e invece siete in cinque. Dove si cucina nello stesso lavandino dove poi ci si lava i denti, proprio sopra il water.

“Conviene a tutti che quel rapinatore, quello spacciatore, una volta fuori, cambi mestiere” le parole conclusive

Un autorevole magistrato ha dichiarato di essere “contrario ad uno schiaffo in carcere, ad uno schiaffo in caserma. I detenuti non devono essere toccati nemmeno con un dito, soprattutto perché non devono passare per vittima”. Il parere della Fagnani é che “lo Stato non può consentirgli di applicare le leggi della sopraffazione e della violenza. Occorre, piuttosto, un percorso di acquisizione di consapevolezza e di responsabilità. Se non faremo in modo che chi esce dal carcere sia meglio di come è entrato, sarà un fallimento per tutti. E se non ci arriviamo per civiltà, per umanità, per rispetto dell’articolo 27 della Costituzione, arriviamoci per egoismo. Conviene a tutti che quel rapinatore, quello spacciatore, una volta fuori, cambi mestiere. Grazie”. Conclude così il suo monologo la giornalista, dopo aver fatto luce sui vari aspetti che costringono alla reclusione quei giovani, che sembrano senza speranza.

Flora Febraro

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