Claudio Cardito: la musica nel sangue, il jazz nell’anima
Coffee jazz con Claudio Cardito
Il Maestro Claudio Cardito, con la voce del suo sax tenore calda e vibrante, racchiude tutte le sfumature più impercettibili di quella musica, così sfrontata, elegante e dal potente messaggio, che è il jazz. Grazia ed ironia Partenopea, riecheggiano attraverso le modulazioni artistiche di questo musicista poliedrico, le quali note attraggono le orecchie del pubblico, riempiendole di fine armonia e invitandole ad una musica vellutata, frizzante e a volte enigmatica, come deve essere il jazz.
Noi di NapoliNews360, abbiamo avuto il piacere di conversare con questo eclettico artista, che ha raccontato di sé e della sua colorata musica.
D: Buongiorno Claudio è davvero un piacere essere qui ad intervistarti oggi, soprattutto perché ascoltando i tuoi pezzi, ad esempio il tuo sax solo su “ Montanari”, viene fuori tutta la tua energia e passione per il jazz, il che non è scontato, anche perché ti sei avvicinato a questo linguaggio musicale solo in seconda battuta rispetto agli studi classici che sono venuti, se non erro, per primi. Ci puoi raccontare com’è iniziata la passione per la musica e anche la scelta del sax contralto, come strumento di appartenenza?
R: Buongiorno, sì certo! È successo tutto molto casualmente e come capita a molti ragazzini alle scuole medie, ho avuto la prima opportunità per conoscere la musica, attraverso il classico flauto dolce, appunto nelle ore di musica, ringraziando Dio e ringraziando la Prof.ssa Sciarelli, che ricordo con grande affetto! Ho fatto le mie prime esperienze, andando in giro nelle classi per fare dimostrazioni musicali e anche se non avevo studiato chissà quanto, mi ero subito appassionato,quindi a casa mi esercitavo molto.
D: evidentemente già ce l’ avevi nel sangue!
R: sì, sicuramente già c’era da qualche parte qualcosa, che risuonava insieme al suono del flauto dolce, anche se poi in realtà, questa occasione non è stata molto colta, né da me stesso e né dalla mia famiglia; ci sarebbero voluti un po’ di anni, prima che ritornassi a considerare quest’antica passione; nel frattempo ho studiato, lavorato, fatto il servizio militare, un sacco di cose insomma! Poi, vidi Bird, questo film su Charlie Parker, che mi sconvolse proprio la vita! Il giorno dopo, mi ricordo che andai a comprare il mio primo disco di Parker, un LP in vinile che ho ancora e a cui tengo moltissimo ed è da lì che è nata questa sorta di ispirazione, che però non mi colpì in modo semplicemente musicale. La cosa che mi domandai fu: “ ma come si fa ad essere così liberi nel suonare una musica come fa lui!” “ Qual è l’ ingrediente magico, per cui lui suona queste cose?” e dopo una decina d’anni più o meno, forse ho capito che cosa mi avesse folgorato! Una libertà ritmica ancestrale, che avveniva con il linguaggio del bebop, ma con una concezione molto più profonda e molto più antica, che appunto è quella ritmica; non pensavo fosse quello, ma solo che fossero le note che suonava sul sassofono ad essere magiche! Invece poi ho capito che si trattava veramente di altro, così poi nel tempo mi sono appassionato all’Africa e ai suoi ritmi tribali.
D: nasce il tuo quartetto: quali sono stati gli elementi armonici che ne hanno favorito l’ unione?
R: innanzitutto la volontà di accettare l’ improvvisazione come modus operandi, ovvero l’ apertura alla nascita di qualcosa di nuovo, in tutto ciò che si suona. Gli elementi di questo quartetto avevano( ne parlo al passato perché adesso sto suonando con altri musicisti), una formidabile capacità di adattamento a cogliere degli aspetti che non erano assolutamente stati decisi, né in termini di scelta dei brani, né su come direzionare gli assoli; chiaramente, tutti conoscevamo il linguaggio e su cosa avremmo basato le improvvisazioni, ma non sapevamo cosa sarebbe successo.
D: Infatti credo che sia una sensazione impalpabile; come se due persone stessero parlando e si venga a creare una chimica istantanea, un qualcosa che va oltre la tecnica, come succede nel jazz, giusto?
R: sicuramente si, anche se poi non è così scontato che si mantenga quel tipo di energia e di tensione, sia nel bene che nel male. Questa cosa nella musica è evidentissima, perché con gli altri elementi,( tu mi domandavi quali sono sono stati gli elementi armonici), questo tipo di integrazione è possibile se c’è una volontà; sembra facile a dirsi, mentalmente lo concepiamo tutti un discorso del genere, però farlo sul campo, con tutto quello che riguarda poi l’ aspetto della performance, ovvero il pubblico, le aspettative di ognuno, anche nel momento in cui senti che il pubblico non è esattamente attento, ecco, tutto ciò non è facile, per cui, è fra gli elementi del gruppo che bisogna essere poi veramente forti.
D: Potresti fare un accenno ai tuoi ultimi progetti se, ovviamente si può parlarne?
R: con piacere! Tutto nasce da queste esperienze fatte negli ultimi anni. Prima della pandemia, ho discusso una tesi al Conservatorio di Napoli, basata sull’ arte di John Coltrane,affrontando un discorso molto complicato; ho preso la parte artistica di Coltrane, quella del cosiddetto periodo “ free”, che ha destabilizzato un po’ tutti gli ascoltatori, i quali non avevano capito cosa avesse voluto dire e perché questo cambio di rotta così strano, se vogliamo; ho studiato quella parte lì, cercando chi fossero i prosecutori del messaggio dell’artista e ho individuato due grandissimi musicisti ed eccellenti didatta, che rispondono ai nomi di Dave Liebman e George Garzone. Loro sono quelli che hanno mandato avanti quel discorso “free”, anche se poi non è esattamente definibile così; quello che ho capito è che fondamentalmente quello di Coltrane, non era semplicemente un modo di suonare, ma soprattutto di pensare. Voleva liberarsi da qualcosa! Da questo nasce il mio progetto, fatto di ultime composizioni e anche discografico; avendo acceso Coltrane il lume dell’idea, quello che ho cercato di fare è stato quello di prendere quegli elementi che lo hanno portato a quel tipo di scelta e farli un po’ miei; questo però è successo, dopo aver studiato anche la didattica di Dave Liebman e George Garzone, che hanno anche un po’ teorizzato le cose lasciate da John Coltrane.
Ecco, studiando tutti loro, ho fatto delle composizioni, mettendomi poi alla ricerca di musicisti che mi potessero aiutare in questo mio progetto e che fortunatamente ho trovato.
D: hai già un nome per il tuo album? Siamo curiosi!
R: allora, il titolo di questo progetto è un po’ semiserio; tu sai, che come abbiamo detto prima, il mio primo amore è stato Charlie Parker, il quale era solito nominare i suoi brani con i nomi di Anthropology, Ornithology e così via; allora io questo progetto, l’ho chiamato Carditology!
D: azzeccatissimo direi! Entro quanto verrà registrato più o meno?
R: tra fine novembre e inizio dicembre.
R: Dunque ci siamo!
Ho una domanda jolly per te; tu sei napoletano e quindi la mia mente non può che andare ad un blues graffiante, caldo, popolare…quello di Pino Daniele, che è stato un musicista poliedrico e che sarà sempre di ispirazione per chi si approccia alla musica, ma anche per chi vuole solo ascoltarla.
D:Tu, che tipo di rapporto hai avuto e hai con il suo ascolto?
R: Guarda è bastato solo che tu lo nominassi e ho i brividi addosso! Il mio primo reef al flauto è stato quello di “I Say i’ sto cca”; questo è stato uno degli ascolti più forti della mia vita. Da piccolo, grazie anche a mio fratello maggiore che metteva i dischi, ascoltavamo quasi quotidianamente, Pino Daniele e i Pink Floyd, quindi contemporaneamente si veniva a creare questo doppio senso che viaggiava e che mi ha ispirato molto. Tra l’altro, nella musica di Pino Daniele, sono presenti tutti gli elementi del jazz, musica moderna, Bossa Nova e del Rock; lì c’è già tutto e poi chiaramente è un linguaggio che essendo stato utilizzato nei testi, in napoletano, fa ancora più effetto! Comunque penso che per tutti è così, a prescindere dall’essere napoletani o meno; sai, a volte con i colleghi e amici jazzisti, ci troviamo a parlare su quale standard jazz americano ci piaccia fare di più, ma poi in fin dei conti pensiamo che abbiamo la fortuna di possedere un patrimonio enorme di bellissima musica, dal punto di vista armonico,fantastica; quella di Pino Daniele ovviamente è armonicamente davvero molto interessante, perché se si riesce ad armonizzare in quel modo, vuol dire che la musica la si conosce bene; la ritmica, viene utilizzata per le impovvisazioni, come farebbe tranquillamente un jazzista e quindi a tutti gli effetti i brani di Pino Daniele, sono standard italiani o napoletani; ci sono poi una quantità di jazzisti italiani, famosi nel mondo,vediLenny Tristano e anche americani figli di italiani nati in America, come George Garzone,anch’egli nominato prima, avente origini calabresi e che in questo momento è il Maestro dei Maestri del sassofono a livello mondiale, con cui ho l’onore fra l’altro, di fare lezione, perché io insisto nel dire che voglio studiare per tutta la vita, con chi è meglio di me!
D: Claudio, staremmo ore a parlare con te, perché ciò che dici è veramente piacevole e costruttivo! Grazie del tempo che ci hai dedicato e speriamo di avere presto una nuova occasione, per un altro “ coffee jazz”; grazie e buon lavoro!
R: Con piacere, quando volete e grazie a voi!